(Breve autobiografia)

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(Ringrazio l’amico Massimo Rizzante per questi materiali che mi ha inviato su Kis, e che sono parte di un numero monografico che la rivista Nuova prosa ha dedicato allo scrittore. E ringrazio anche Luigi Grazioli che in veste di direttore della rivista sollecita tali iniziative. Danilo Kis è uno dei vertici dell’arte romanzesca, e non solo per il romanzo novecentesco, ma per l’intera storia del romanzo moderno. L’uscita in Italia di una rivista che dedica un numero monografico a Kis dovrebbe rimescolare le menti e i cuori, almeno degli addetti ai lavori. Non so se questo è il caso. Ma la risaputa letargia dell’ambiente, non ci impedisce di gioire. A. I.)

Di Danilo Kis

Estratto dell’atto di nascita
Mio padre vide la luce in Ungheria occidentale e finì l’accademia commerciale nel luogo di nascita di un certo signor Virág che, per grazia del signor Joyce, sarebbe diventato il celebre Leopold Bloom.

Penso che una certa politica liberale di Francesco Giuseppe II nonché il desiderio di integrarsi avessero indotto mio nonno a magiarizzare il cognome del figlio ancora minorenne; molti dettagli della cronaca famigliare, comunque, rimarranno per sempre oscuri: nel 1944 mio padre, come tutti i nostri parenti, fu condotto ad Auschwitz, da dove quasi nessuno di loro sarebbe più tornato.

Fra i miei avi materni c’è un leggendario eroe montenegrino che imparò a scrivere a cinquant’anni e alla gloria della sua spada aggiunse quella della penna, ed anche un’“amazzone”, che per vendetta tagliò la testa a un oppressore turco. La rarità etnografica che rappresento si estinguerà, dunque, con me.

Quando avevo quattro anni (1939), all’epoca dell’introduzione delle leggi antiebraiche in Ungheria, i miei genitori mi fecero battezzare nella fede ortodossa presso la chiesa dell’Ascensione di Novi Sad, e questo mi salvò la vita. Fino a tredici anni vissi in Ungheria, nel luogo natale di mio padre, dove eravamo fuggiti nel 1942 dopo i pogrom di Novi Sad. Lavoravo come garzone presso ricchi contadini, e a scuola imparavo il catechismo e l’esegesi biblica cattolica. La “inquietante diversità”, ciò che Freud chiama Heimlichkeit, rappresenterà la mia fondamentale fonte d’ispirazione letteraria e metafisica; a nove anni avevo scritto le prime poesie, in ungherese; una parlava della fame, un’altra era una poesia d’amore par excellence.

Da mia madre ho ereditato la tendenza a combinare fatti e leggende, e da mio padre il tono patetico e l’ironia. Per il mio rapporto verso la letteratura non è irrilevante il fatto che mio padre sia stato l’autore di un Orario ferroviario internazionale: si tratta di un’intera eredità cosmopolita e letteraria.

Mia madre lesse romanzi fino a vent’anni, quando comprese, non senza rammarico, che i romanzi erano “invenzioni” e li rifiutò una volta per tutte. Quella sua avversione per le “pure invenzioni” è latente anche in me.

Nel 1947, con la mediazione della Croce Rossa, fummo rimpatriati a Cetinje, dove viveva lo zio materno, un noto storico, biografo e commentatore di Njegos. Subito dopo il mio arrivo mi presentai all’esame per la scuola d’arte. In commissione c’erano Petar Lubarda eMilo Milunovi, Il busto di Voltaire che dovevamo copiare – un calco di gesso della statua di Houdon – mi ricordava una vecchia tedesca che avevo conosciuto a Novi Sad, ed è così che lo disegnai. In ogni caso fui ammesso, grazie forse agli altri miei lavori. Dovetti aspettare un paio di anni per poter avere la necessaria preparazione ginnasiale. In quel periodo decisi di fare anche la maturità.

Per due anni studiai violino alla scuola di musica, dove avevo come insegnante il vecchio Simonutti, che chiamavamo “Paganini”, non solo per il suo aspetto, ma anche perché adorava il tremolo. Proprio quando ero arrivato alla seconda posizione, la scuola di musica si trasferì a Kotor. Allora continuai a suonare senza spartiti musica tzigana e romanze ungheresi, e ai balli della scuola anche tanghi e valzer lenti.

Al ginnasio continuai a scrivere poesie e a tradurre poeti ungheresi, russi e francesi, soprattutto per mettere alla prova il mio stile e per impadronirmi della lingua; mi preparavo a diventare poeta e imparavo il mestiere letterario. Il russo ce lo insegnavano ufficiali bianchi, émigrés degli anni Venti, che, come supplenti dei nostri professori, insegnavano con altrettanta competenza materie come matematica, fisica, chimica, francese, latino.

Dopo la maturità m’iscrissi all’Università di Belgrado, dove fui il primo laureato della nuova cattedra di Letteratura comparata.
Sono stato lettore di lingua e letteratura serbocroata a Strasburgo, Bordeaux e Lille. In questi ultimi anni vivo a Parigi, nel decimo arrondissement, e non sono malato di nostalgia; mi capita a volte, quando mi sveglio, di non sapere più dove sono: sento i miei connazionali che sulla strada si chiamano fra loro, mentre dai mangianastri delle auto parcheggiate sotto la mia finestra strepita una fisarmonica.

(traduzione di Alice Parmeggiani Dri)
© Danilo Kis, 1983

Nota biobibliografica

Danilo Kis è nato a Subotica il 22 febbraio del 1935, alla frontiera tra Jugoslavia e Ungheria. Laureatosi a Belgrado, pubblica tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta i primi scritti e le prime traduzioni (dall’ungherese e dal russo). Tra il 1962 e il 1964 è lettore di serbo-croato a Strasburgo. In seguito, sempre con lo stesso incarico, farà tappa a Bordeaux e a Lille. Dal 1979 si installa a Parigi, dove vivrà fino alla morte (15 ottobre 1989). Le sue opere maggiori sono La mansarda (1962); Salmo 44 (1962); Dolori precoci (1969); Giardino, cenere (1971); Clessidra (1972); Una tomba per Boris Davidovic (1976); Lezione di anatomia (1978); Enciclopedia dei morti (1985). In Italia, le opere di Kis sono state pubblicate da Adelphi, tranne Una tomba per Boris Davidovic che con il titolo I leoni meccanici è uscita da Feltrinelli.

(immagine di Peter Greenaway: “93 objects to represent the world”)

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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